“Emozioni, memoria, e impegno. Concetto Vecchio in “Cacciateli!” ha toccato corde profonde di una storia che abbiamo tutti dimenticato, accendendo i riflettori sulle tante difficoltà affrontate dagli emigrati italiani negli anni ’70 in Svizzera. Difficoltà analoghe a quelle delle migliaia di persone che oggi raggiungono l’Italia in cerca di speranza. E’ fondamentale allora riflettere sulla circolarità della storia e farne tesoro per costruire un tessuto sociale capace di accogliere e includere.”
Con queste parole Lidia Borzì, presidente delle ACLI di Roma aps, ha introdotto giovedì 27 giugno al Palazzo del Freddo di Giovanni Fassi, il libro di Concetto Vecchio “Cacciateli! Quando i migranti eravamo noi” in occasione dell’incontro di riflessione “La Memoria Corta”, organizzato dalle ACLI di Roma aps. Un momento prezioso per riflettere sul valore della memoria e dell’accoglienza, grazie alla tavola rotonda, moderata da Goffredo De Marchis, giornalista di “la Repubblica”, che ha avuto come protagonisti, oltre Lidia Borzì e l’autore, Don Benoni Ambarus, Direttore della Caritas Diocesi di Roma, e Roberto Rossini, presidente nazionale delle ACLI.
E’ il 1970 e in Svizzera viene indetto dal leader populista James Schwarzenbach il primo referendum contro gli stranieri nella storia d’Europa. Gli stranieri in quegli anni erano 300 mila italiani emigrati in massa in cerca di fortuna e lavoro, e tra questi “da cacciare” c’erano anche i genitori di Concetto, arrivati ad inizio anni 60’ da un paese della Sicilia, di nome Linguaglossa. Ed ecco che il libro si posiziona a metà strada fa l’inchiesta storica e il reportage familiare. “Io mi sono immedesimato nello sradicamento di mio padre e mia madre – spiega Concetto Vecchio – e ho cercato di unire due piani: la grande storia, quella pubblica e collettiva e il vissuto personale dei miei genitori”
“Sono troppi ci rubano i posti migliori, lavorano per pochi soldi, occupano i letti degli ospedali, sono rumorosi e non si lavano”. Questo il sentimento comune degli svizzeri nei confronti degli italiani, eppure “dal 1962 al 1972 in Svizzera non c’erano disoccupati – commenta l’autore – il tasso di disoccupazione era dello 0,0%, ma nonostante questo dato la campagna di Schwarzenbach al grido di ‘Prima gli Svizzeri’ ebbe un successo enorme, sfiorando la vittoria nel referendum”.
La motivazione non poteva essere di natura economica ma un fatto identitario. Quelle scritte da Concetto Vecchio allora riescono ad essere pagine attualissime, che invitano a riflettere su quel muro d’odio e paura che giorno dopo giorno si sta innalzando nel nostro Paese. “È inaccettabile la manipolazione di massa che sta avvenendo ora – spiega Don Benoni Ambarus – la gente ha paura dell’altro, e questa è una malattia sociale. Io però scommetto ancora che tutto questo si può guardare in faccia e combattere. Come? accettando e accogliendo le persone”
Passato, presente…ma anche futuro. Il libro consegna in eredità anche una bellissima lezione piena di vita, coraggio, impegno e sacrificio, come evidenzia nel suo intervento finale Roberto Rossini. “L’affrancamento che hanno vissuto i nostri emigrati nella Svizzera degli anni 70, è una permanenza della storia. Questa generazione ha lavorato 12 ore al giorno non per sé stessa ma per garantire un futuro dignitoso a quelle successive”.