Quanti di noi iniziano a lavorare appena svegli? Chi non resiste alla tentazione di cominciare a leggere la posta elettronica giàa colazione, saltando dalle ultime notizie a siti che ti propongono offertissime? E quanti non riescono ad addormentarsi prima di aver dato un’ultima sbirciata allo smartphone? Ormai le nuove tecnologie ci rendono spesso schiavi del lavoro, invece potrebbero aiutarci a sopravvivere soprattutto nelle grandi cittàcome Roma, dove in tanti vivono –anzi, viviamo – il problema dello spostamento casa-ufficio, che diventa un vero e proprio viaggio di oltre un’ora. Éstato calcolato che ogni romano perde 14 giorni di vita l’anno per gli spostamenti in città.
E nelle nostre giornate non c’èsolo il lavoro, ma anche i figli da portare e riprendere da scuola, accompagnare in parrocchia, in piscina, a musica ecc, i nonni da portare alla visita di controllo, e tante altre faccende che, da ordinarie, diventano delle imprese faticose e, talvolta, missioni impossibili. A rimetterci sono soprattutto tante mamme e, di conseguenza, tutta la famiglia. E il problema, con la chiusura della scuola, si acuisce ancor di più. In Italia si fanno le vacanze piùlunghe d’Europa. E’ proprio questo il periodo dell’anno che mette in crisi tantissime famiglie; Giusto il riposo per i nostri ragazzi, ma chi paga i grest estivi o le baby sitter?
Sempre di corsa, sempre in affanno, lavoriamo tanto ma non guadagniamo altrettanto: paradosso tutto italiano. L’Ocse ha spiegato di recente che gli italiani lavorano 200 ore piùdei danesi, addirittura 300 piùdi olandesi e tedeschi. Ma guadagnano meno. Colpa di un sistema produttivo che in questi anni ha perso terreno. E un problema culturale. Le aziende valutano ancora il personale per le ore spese in ufficio e non per i risultati; senza considerare che le nuove tecnologie dilatano il tempo e lo spazio di lavoro oltre l’orario previsto dalle sedi di lavoro. In tempi in cui le tecnologie ci permetterebbero di lavorare ovunque, giudicare le ore passate in ufficio e non i risultati èun fatto anacronistico.
In Italia abbiamo delle buone pratiche, che arrivano da aziende straniere come Microsoft, Ibm, Coca-Cola, Nestlé, Siemens, Plantronics, Alcatel, L’Oréal e Sanofi, che hanno introdotto nuove modalitàorganizzative che lasciano una certa libertàai dipendenti di lavorare da casa o da dove si preferisce; aggiungendo una serie di benefit che migliorano la qualita’ della vita lavorativa del dipendente.
Un esempio di politica di conciliazione famiglia-lavoro funzionale e a basso costo. Nell’ultimo disegno di legge delega sul lavoro si parla dell’incentivazione di contratti collettivi che rendano flessibile l’orario anche grazie al telelavoro.
Il vantaggio, oltretutto, non èsolo per i lavoratori, ma anche per le aziende, che, con meno dipendenti in ufficio, sosterrebbero meno costi per mantenere le sedi. Altro vantaggio: la mobilità. Secondo le stime dell’Atac, ogni giorno si muovono a Roma, solo con i mezzi pubblici, oltre 3 milioni di persone. Tolti gli studenti, i turisti e i pellegrini, la gran parte di questi usa i mezzi per andare a lavorare. Pensate a come migliorerebbe la viabilità–e la vivibilitàdella nostra città–se tutte le aziende che potrebbero giàfarlo applicassero il telelavoro (quanti uffici –pubblici e privati ci sono sul territorio romano?). Meno stress e meno uscite per il bilancio famigliare senza trasporti e senza i pasti fuori casa. La nostra non èuna proposta tout court, ma consentire ai lavoratori di svolgere da casa alcuni lavori, almeno quelli per cui non ènecessario recarsi in ufficio, comporterebbe un indubbio vantaggio.
Certo, con il lavoro a distanza verrebbe a mancare la componente piùumana, ma noi immaginiamo sostenibili forme miste che consentano di svolgere una parte di lavoro a distanza e una parte in presenza al fine di salvaguardare il valore relazionale del lavoro. Pensare a questa possibilità, come lavorare seriamente sulla conciliazione famiglia–lavoro, equivale a impegnarsi non solo per politiche di lavoro o di pari opportunità, ma di promozione di politiche familiari di ampio respiro, di cui oggi registriamo una certa carenza. Attualmente, le misure di conciliazione esistenti sono un diritto per lo più fruibile nella fase in cui si hanno figli molto piccoli o quando si hanno parenti stretti con gravissime malattie, e purtroppo la quotidianitàproblematica assai faticosa èpoco contemplata. Oltretutto queste possibilità risultano essere riservate a chi ha contratti di vecchio tipo escludendo tutti i giovani dai contratti atipici. La conciliazione famiglia lavoro non rientra in quel set di politiche cosiddette assistenziali, politiche che intercettano una criticitàconclamata (come per esempio, le politiche contro la povertà–e ricordiamo a Roma Il 40% dei giovani è senza lavoro, 40 mila bambini vivono in condizioni di povertà, due giovani su tre sono disposti a lasciare Roma per una vita migliore) -. Al contrario, le politiche di conciliazione famiglia-lavoro possono essere classificate come politiche promozionali –politiche cioèche non devono sanare un problema, ma semmai prevenirlo creando quelle condizioni che permettono alle famiglie di raggiungere un benessere maggiore (come, per esempio, la creazione di servizi di cura accessibili e di qualità). In questo senso bisogna ricordare che, cosìcome le politiche familiari, anche le politiche di conciliazione famiglia-lavoro sono politiche trasversali, non interessano un settore specifico ma incrociano molteplici settori e livelli: costruire infrastrutture (strade e mezzi pubblici) che permettano di spostarsi in tempi rapidi èuna politica economica/infrastrutturale che peròincide, fuor da ogni dubbio, sulla possibilitàdi conciliare famiglia e lavoro. E a Roma ne sappiamo qualcosa.
Come presidente delle Acli di Roma e provincia, mi sono ripromessa di ricalibrare tutta la nostra attivitàa partire dal lavoro e credo che far sentire la nostra voce sull’aspetto della conciliazione famiglia-lavoro sia doveroso.
Alle considerazioni fatte fino ad ora, ne aggiungo un’altra: risparmiando da una parte con il telelavoro, dall’altra si potrebbe investire su nuovi contratti. La prospettiva èquanto mai interessante e ci rimanda a una necessità, se pensiamo che nel Lazio il 40,1% dei giovani èsenza lavoro e Roma detiene il record dei giovani disoccupati (secondo la fonte dello Studio Unindustria 2013 su dati ISTAT riferiti all’ultimo quadrimestre). Il tasso di disoccupazione èsalito del 12,6% nel 1°trimestre del 2013 e il Lazio èal 4°posto tra le regioni con maggior numero di disoccupati (Confesercenti ha registrato 963 chiusure con saldo negativo. Solo l’export registra un dato positivo col +5,1%). Dati non incoraggianti, certo, ma che ci evidenziano quanto sia ormai attuale e necessario trovare ripensare il lavoro e trovare nuove forme, non solo di contratti, ma anche di nuove relazioni. E’ quindi impossibile pensare di prescindere l’impegno delle ACLI di Roma a favore della famiglia da quello a tutela di un lavoro che sia a servizio della dignità della persona. Favorire una migliore conciliazione lavoro-famiglia è necessario per rispondere al naturale bisogno di riconciliazione con la vita.