Siamo nel tempo della ripartenza.
Non proprio inizi, ma ripresa e rilancio della nostra azione e del nostro impegno, sociale e associativo.
Lo dice anzitutto il calendario di un anno appena cominciato, ma lo conferma lo ‘spirito del tempo’ di cui tutti siamo testimoni e co-protagonisti. Viviamo circostanze straordinarie nelle quali, come dice Don Tonino Bello, “siamo di fronte a segni dei tempi così provocanti che l’uscita dagli antichi fortilizi spirituali è diventata obbligatoria”.
La più autorevole testimonianza di ‘uscita’ in questo momento storico ce l’ha data, ancora una volta, Papa Bergoglio, che non ha esitato a esporsi sui teleschermi di una popolare trasmissione televisiva per accompagnare la “fatica di vivere”- così ha detto – di tante persone comuni. Entrando nelle nostre case, ci ha portato il suo messaggio evangelico e umano di solidarietà e inclusione, in modo diretto e semplice secondo il suo stile pastorale consueto.
Su un altro piano, ma con altrettanta chiarezza, il Presidente Mattarella, subito dopo aver di nuovo prestato giuramento per il suo secondo mandato, si è rivolto ai parlamentari riuniti di fronte a lui, nella solenne cornice di Montecitorio, indicando in maniera netta la road map della rinascita italiana e facendo della dignità della persona umana, di ciascuno e di tutti, l’architrave della casa comune da ricostruire, in Italia, in Europa e nel mondo.
Tutto questo ci interpella come ACLI di ROMA, città unica per storia e per vocazione universale. In un momento di grande significato, ci siamo riconosciuti nel breve ma denso indirizzo di saluto del nostro Sindaco, Roberto Gualtieri, che ha espresso al Presidente Mattarella i sentimenti e le attese dei cittadini e delle cittadine della Capitale, ansiosi di riprendersi il futuro dopo la dura esperienza della crisi pandemica e sociale. Già vediamo i primi segnali di una nuova stagione di cura e rilancio di Roma, nella direzione di un nuovo e compiuto umanesimo urbano. Vogliamo fare la nostra parte, accanto ai soggetti più fragili del nostro territorio, con la concretezza della nostra azione sociale quotidiana.
Non ci nascondiamo che le recenti vicende politiche – dalle elezioni amministrative della nostra città alla scadenza del settennato presidenziale- ci hanno mostrato le innegabili difficoltà del nostro sistema democratico, dovute al logoramento delle culture politiche, all’affanno dei nostri strumenti di rappresentanza e, ultima ma non per importanza, all’evidente inadeguatezza di un ceto politico “in cerca d’autore”.
Eppure la straordinarietà dei tempi e dei problemi, a partire da quelli socio-sanitari ed economici, insieme alle straordinarie opportunità messe in campo dal PNRR attraverso gli aiuti di un’ Europa finalmente presente e solidale, ci costringe a cercare energie, talenti, competenze, ma soprattutto passione e slancio per riprogettare, ricominciare, ricostruire. Qui e ora, perché –come ci ricorda spesso Papa Francesco- il tempo del cristiano è il presente, la sfida della storia ai testimoni del Vangelo abita ogni giorno tra noi, ci interpella con urgenza e puntualità.
Come ACLI di ROMA siamo consapevoli che non abbiamo privilegi, ma un di più di responsabilità, insieme ad una vocazione universale che è scritta in ogni luogo e in ogni angolo della nostra città. La domanda che ci dobbiamo porre non riguarda perciò il “se” ma il “come” possiamo corrispondere al nostro “grande compito”. Con quali mattoni costruire l’edificio della nuova democrazia urbana, quali sono i muri portanti della casa comune, perché sia accogliente per tutti, nativi e migranti, aperta alla condivisione dei rischi e delle opportunità, solida nei valori e concreta nei progetti, lungimirante nella visione e tempestiva nelle risposte.
Uno mi sembra il collante necessario da cui discendono tutti gli altri. E’ necessario tornare alla FIDUCIA come alla linfa che rende vive le relazioni e tenaci i legami, da quelli privati e familiari a quelli civili e sociali.
Fiducia non è il semplice contrario di diffidenza. La fiducia è piuttosto il vaccino che ci protegge dal virus del disincanto a cui ci spinge la complessità del nostro mondo, che sentiamo lontano e spesso nemico, o almeno in-affidabile, appunto.
E’ la nostra difesa, che i tempi della pandemia hanno quasi plasticamente tradotto nelle “mascherine” con cui abbiamo – giustamente- protetto la nostra salute fisica e anche quella degli altri. La società ha innalzato barriere immunitarie al suo stesso interno, è diventata auto-immune a prezzo della chiusura non solo materiale, ma anche mentale. Abbiamo dovuto scegliere tra vicinanza e sicurezza, perciò possiamo dire che la fiducia è diventata uno sport estremo, quasi una forma di incoscienza o di ingenuità.
Penetrando anche nelle relazioni affettive e comunitarie, il cuneo della paura ha scavato fossati, ha reso le forme consuete dello scambio tra gli esseri umani, dalla stretta di mano all’abbraccio, potenziali portatrici di rischio.
Ha isolato e deprivato i giovani della loro socialità tra pari, gli anziani della presenza e dell’attenzione che cura e protegge dalla solitudine, le famiglie delle reti parentali e informali di sviluppo e accompagnamento dei loro difficili compiti, a partire da quello educativo.
Il distanziamento coatto ha indotto alla chiusura come scelta, o a gravi forme di disagio psichico che hanno colpito soprattutto i soggetti più fragili, come attestano numerose ricerche di questi mesi. Non si può crescere gioiosamente ma non si può neppure invecchiare serenamente senza gli altri. La fiducia è l’alimento di ogni rapporto educativo, è la materia prima di cui sono fatti i nostri progetti di vita e di futuro.
Non è solo un sentimento, ma anche una virtù civile e politica, quella che cementa il rapporto tra cittadini ed istituzioni. Cementare: è il verbo giusto.
Si tratta dei mattoni di cui è fatta la vita democratica, il rapporto circolare tra governanti e governati, tra eletti ed elettori. Il mondo moderno è nato dalla “istituzioni della fiducia”, cioè da un lento passaggio dalla “fedeltà” privata tra singoli, alle forme che mirano a legare stabilmente le persone in una comunità coesa, nella quale la credibilità di ciascuno si moltiplica nella fiducia di tutti verso tutti. Non per effetto di una delega che deresponsabilizza, ma per la solidità delle istituzioni a cui tutti guardano con fiducia. Abbiamo toccato con mano come il ruolo del Presidente della Repubblica ha acquistato in questi anni di mutamenti e drammatiche calamità una centralità che va oltre anche il suo profilo istituzionale e costituzionale.
Sappiamo e vediamo che nel nostro Paese, e non solo, la sinergia virtuosa tra cittadini e istituzioni, mediata dai corpi intermedi che articolano e arricchiscono la libera espressione della generatività sociale, è molto compromessa. I cittadini non si fidano di quelle stesse formazioni a cui hanno dato vita, non investono nella partecipazione alla comunità, o quanto meno fanno fatica a trasformarla in proposta costruttiva, in azione concorde e moltiplicatrice di energie. Come ACLI di ROMA ci impegniamo quotidianamente per ricostruire in modo capillare le ragioni della fiducia e della partecipazione, dal basso, dall’ascolto dei bisogni e dalla concretezza delle risposte.
La Capitale di questo Paese è in prima fila nella ricerca di una rinascita, materiale e culturale, economica e civile. Le ACLI romane, in tutto il loro articolato sistema, vogliono essere al servizio operoso di questo cammino.
Nella quotidianità dei nostri percorsi di accompagnamento e sostegno dei soggetti più fragili, nella promozione del protagonismo delle famiglie, delle imprese, dei giovani e delle donne, mettiamo la nostra competenza a disposizione della RETE di prossimità che ci vede presenti sul territorio urbano e metropolitano.
Abbiamo di fronte un compito difficile, che affrontiamo con umiltà, ma crediamo che valorizzare i talenti e rispondere ai bisogni del territorio urbano e metropolitano, sia il nostro duplice impegno nei mesi che ci aspettano, e in ciascun giorno che ci chiama a costruire la fiducia e testimoniare credibilmente la speranza da cui siamo animati.