di Lidia Borzì
Abbiamo tutti nel cuore un’istantanea, già consegnata alla storia: Papa Francesco che prega da solo, sotto la pioggia, in una piazza San Pietro deserta, ma in comunione con il mondo intero.
Nel buio della sera, anzi della “tempesta”, come l’ha definita, il Santo Padre ha dato voce ai sentimenti di tutti.
Un momento straordinario che ha espresso la portata di un evento che sta sconvolgendo il mondo: la pandemia di Covid-19.
“Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda”, ci ha ricordato il Vescovo di Roma, Francesco.
Sicuramente il momento più significativo di questa Quaresima in cui siamo stati involontariamente chiamati ad attraversare un lungo deserto, quasi a prendere alla lettera quello biblico: il deserto delle strade con i negozi chiusi – e il pensiero va subito a tutti i lavoratori in ginocchio, alle aziende in crisi e a quanti non sanno se riavranno un lavoro -; quello delle scuole e delle università senza studenti; delle piazze senza volti, delle chiese senza fedeli. I giorni, stavolta, non sono necessariamente quaranta ma per “quarantena” si intende il tempo necessario di prevenzione del possibile contagio di questo terribile virus, un nemico invisibile che si misura in micron (milionesima parte di un centimetro), ma che ha messo in ginocchio il mondo intero.
L’uomo era più preparato all’idea di sfide sempre più ardite, come i viaggi turistici sulla luna o farci sostituire dall’intelligenza artificiale, che a farsi stravolgere da quell’infinitamente piccolo che assale e quasi umilia lo smisuratamente grande, con effetti e ricadute solo in parte prevedibili.
Anzitutto è l’ignoto quello che, tutt’ora, più inquieta e spaventa. Non sapere chi e quando colpirà, vederne solo gli effetti devastanti nel corpo, come il restare senza fiato, un’azione che, normalmente, facciamo senza pensarci.
E ancora non si hanno certezze sulla cura, il vaccino sembra un miraggio lontano.
Intanto, ogni giorno un bollettino di guerra, dove i numeri nascondono volti, storie, drammi di solitudine e isolamento che colpiscono tutti, indistintamente, ma soprattutto, i più fragili, per età o malattie pregresse.
Questa epidemia ci ha colti in un tempo liquido, in cui si rischia proprio di peggiorare l’isolamento e di acuire le fragilità, ognuno è più solo nel mare della vita, ecco perché dilagano anche l’incertezza, la confusione e la paura. Stare a casa non è facile per tutti.
Mentre i più fortunati hanno più tempo da passare con i propri affetti, in abitazioni accoglienti, pensiamo a chi una casa non ce l’ha, o vive in abitazioni di fortuna, a quanti sono soli o a quanti vivono in situazioni di pericolo o di esasperazione tra le mura domestiche.
Serve allora un patto di corresponsabilità che spinga ciascuno a farsi carico delle fragilità di questi soggetti, perché non sia questa epidemia la manifestazione clamorosa di quella “cultura dello scarto” contro la quale molte volte si è levata la voce dello stesso Papa Francesco.
È tempo di assumere fino in fondo l’ottica del Bene Comune, spendersi generosamente in attività di vicinato, di prossimità soccorrevole, sempre nel rispetto della sicurezza e delle normative vigenti.
È possibile questa “rivoluzione della responsabilità”?
È possibile questa “svolta per il NOI”?
Non mancano segnali di speranza. Deboli, forse, ma confortanti.
E mentre non mancava chi speculava su mascherine e disinfettanti o sulla spesa, facendone schizzare i prezzi alle stelle, abbiamo anche assistito all’emergere del meglio della nostra comunità.
L’Italia che si mette in fila ordinatamente per l’approvvigionamento dei beni di prima necessità, che cammina per la strada badando a mantenere le distanze di sicurezza.
L’Italia della spesa sospesa e delle gare di solidarietà.
L’Italia dei disegni di arcobaleni dei nostri bambini, dei messaggi lasciati sotto al palazzo per dare coraggio ai vicini.
L’Italia che si scopre bisognosa di affacciarsi dal chiuso delle case, per intonare una stessa canzone.
L’Italia che resiste allo scoramento riscoprendo, nelle case, il luogo dell’intimità e perfino della “negoziazione” degli spazi e dei bisogni.
L’Italia che torna a leggere, e perfino a telefonare o video chiamare per far sentire la presenza dell’amicizia e dell’affetto.
L’Italia che si inchina all’abnegazione di medici e infermieri che stanno letteralmente dando la loro vita per salvare quella degli altri.
L’Italia rappresentata dalla Protezione civile che si sta prodigando come sa fare soprattutto nelle grandi emergenze.
L’Italia dei tanti volontari delle associazioni e delle organizzazioni sociali che, con coraggio, si sono messi prontamente al servizio dei più fragili.
Tra questi anche le ACLI di Roma, fin dall’inizio di questa emergenza sanitaria, anche in coordinamento con la Regione Lazio, che ci ha coinvolto in un apposito Tavolo per il contrasto delle emergenze sociali nell’emergenza sanitaria, una buona pratica di sussidiarietà da valorizzare anche in seguito.
Tutta questa situazione ha fatto venir fuori la centralità delle reti di prossimità e di solidarietà oggi ancora più essenziali per contrastare la solitudine e l’isolamento di tanti, quelle reti che le ACLI di Roma si impegnano a costruire ogni giorno.
Come Associazione di Promozione Sociale, abbiamo intensificato – con le dovute precauzioni – il nostro impegno al servizio degli ultimi, garantendo la vicinanza relazionale e la prestazione di servizi essenziali, grazie a operatori e volontari in prima linea anche a rischio della propria salute. Ecco allora “Distanti, ma vicini”, una serie di iniziative nel rispetto delle normative di prevenzione vigenti, per garantire, nel nostro piccolo, servizi essenziali come il recupero e consegna del cibo attraverso il nostro progetto “Il cibo che serve”, che in questi giorni ha implementato la distribuzione di frutta e verdura – grazie anche alla collaborazione con il CAR – alle famiglie più indigenti, e assicura i pasti per senza fissa dimora presso la Struttura “Rifugio Sant’Anna”, dove collaboriamo con Binario 95 e il Municipio Roma I Centro, o la spesa a domicilio con i TAXI solidali che portano beni e medicinali agli anziani, e inoltre supporto a distanza per famiglie, donne e giovani, e consulenza legale e fiscale per districarsi con il Decreto “Cura Italia”.
A tal proposito abbiamo dedicato una sezione specifica del nostro sito dei Servizi proprio al Decreto.
Crescono quotidianamente gli accordi con diversi Municipi e con i Comuni della provincia per garantire il nostro supporto.
E, soprattutto, non smettiamo di tessere legami, andando oltre il virtuale che pure è tanto importante in questo periodo, per contribuire a costruire una comunità fatta di relazioni vive, sentendoci gli uni custodi degli altri.
Questa vicenda lascerà ferite profonde, un lascito di paure, forse, ma dipenderà anche da noi riprendere il cammino e rinnovare la nostra fiducia reciproca, la nostra voglia di lavorare per il bene di tutti.
Quante volte in questi giorni sono risuonate nell’aria le note di “Volare”.
Un brano che risale al 1958, gli anni del boom, della voglia di uscire definitivamente dal dopoguerra.
Era rinata l’Italia, dieci anni prima, nella nostra Costituzione, nella ricostruzione, nella ripresa della vita democratica.
Ce la faremo a passare anche questa e sarà come un dopoguerra. Ci sarà bisogno di essere uniti e non perdere la Speranza.
Spetta a noi, soprattutto a noi credenti impegnati, farci portatori di Speranza. Recuperare le nostre radici, vivere questo tempo di isolamento forzato, di distanza dagli affetti, di digiuni, dal contatto fisico, dagli abbracci, dai baci, dai pranzi o le cene in famiglia, dalle feste e dai ritrovi e persino digiuni liturgici (non potendo accostarci ai sacramenti), come un tempo fecondo di purificazione che ci auguriamo porti a una rinascita. A distinguere l’essenziale dal superfluo.
Abbiamo davvero bisogno di uno sguardo nuovo, uno sguardo pasquale che fa nuove tutte le cose, per vedere in questo periodo confuso e minaccioso il germe di tanti elementi preziosi di bellezza e di Speranza.
Pasqua significa proprio “passaggio”.
E mai, come in questo tempo di passione, abbiamo bisogno di passare dalla morte alla vita, abbiamo bisogno di quella Speranza che è
certezza del terzo giorno.
Una Speranza che coltiviamo nell’umiltà del servizio al Bene Comune e nell’attesa di una ripresa che avrà il sapore di una riconquista.
Ne usciremo, rafforzati, consapevoli e più uniti che mai.
Ne usciremo più vicini.
Buona Pasqua di Resurrezione a tutti e a ciascuno di voi!